Lo dico subito: quella di oggi è un’intervista a cui tengo particolarmente perché, virtualmente, conosco Alessandra D’Amico – meglio conosciuta come The Pink House – da un po’ di tempo e ci tenevo davvero tanto che entrasse a far parte di questa mia rubrica dedicata all’illustrazione.
Sono abbastanza sicura di averla conosciuta grazie ai #3FATTIDIOGGI di Valentina Aversano: Alessandra li condivideva nelle sue storie appuntandoli sotto forma di disegno, in un modo semplice e meraviglioso insieme. Alessandra, che nella vita è anche architetto e insegnante, ha uno stile molto riconoscibile, coloratissimo, dove illustrazione, grafica, lettering convivono beatamente insieme. L’amore per le storie e per i libri poi caratterizza molti dei suoi lavori, come le Zine dedicate al mese del Pride, o le animazioni dedicate alla storia delle copertine dei libri che crea per Strategie Prenestine (qui quella dedicata al Giovane Holden). Smetto di dilungarmi e lascio la parola a lei!
Da quanti anni sei The Pink House e perché?
Sono The Pink House ufficialmente da dieci anni. Cercavo un nome e un logo che contenessero il simbolo della casa, perché la mia formazione da architetto c’è e non mi abbandona, e che evocassero un luogo creativo. Il colore è un omaggio a Bruno Munari che inventò il rosa Dilma, dedicato alla moglie.
Dall’architettura all’illustrazione, con in mezzo l’insegnamento: come è potuto succedere?
È potuto succedere perché in mezzo ci sono stati due figli e crescerli significava non riuscire a seguire completamente i lavori da architetto. Mi resi conto che negli anni il mio amore per la grafica aumentava e mi capitarono richieste di collaborazioni. Le presi al volo perché era un carico che riuscivo a gestire in autonomia. Il lavoro grafico si è evoluto man mano verso l’illustrazione.
L’insegnamento è arrivato perché in casa eravamo due partite iva, e siamo andati in difficoltà. Così provai a superare la selezione per accedere al corso di specializzazione da insegnante di sostegno, senza troppa convinzione, e passai. Pensavo alla scuola e dicevo: “Non mi avrete mai!”. Invece mi hanno avuta e pure conquistata! Quindi ora faccio più lavori contemporaneamente.
Quale lavoro, progetto ti ha fatto dire “ok, sono un’illustratrice”?
Mi ha incoraggiata molto aver illustrato un libro su commissione per un’agenzia di comunicazione. È stato il mio primo libro completo che è costato tanto studio e tanta fatica e ne sono abbastanza orgogliosa. Però non riesco a sentirmi completamente una illustratrice, forse perché non ho avuto una formazione adeguata o perché non è un lavoro che faccio a tempo pieno, come gli altri due di cui sopra! Quando mi chiedono quale sia la mia professione ci devo sempre pensare su!
Che effetto ti fa guardare i vecchi lavori?
I vecchi lavori mi ricordano i periodi in cui sono stati fatti, spesso con fatica e nei ritagli di tempo. Quindi ne sono comunque orgogliosa, anche se alcuni li rifarei in maniera diversa.
Se potessi tornare indietro nel tempo che consiglio ti daresti?
Di essere meno perfezionista e di fare di più. Ho scoperto che un lavoro che non va a buon fine fa molto meno male di una occasione persa perché ci si sente inadeguati.
Solitamente dove disegni? Riti, abitudini, posizioni, soundtrack?
Disegno sul divano o sul tavolo del soggiorno da cui si vede il mare. Poi ho il mio studiolo con il pc quando devo lavorare con i programmi di grafica. Quando lavoro di giorno ascolto l’album Eusa di Yann Tiersen. Se lavoro di sera ho una compilation per tenermi sveglia con tanto Springsteen. Di solito dopo un po’ mi concentro talmente tanto che arrivo alla fine di un album senza rendermene conto.
Cosa ti ispira?
Le storie biografiche e la letteratura.
Le tue tecniche preferite
Il digitale ha sempre placato la mia ansia perché posso cancellare senza lasciar traccia: ho un problema irrisolto con l’errore… A prescindere da questo ho una innata curiosità per i programmi di grafica. Mi piace molto disegnare a matita e con la penna a inchiostro nero.
Una cosa che vorresti disegnare ma che non hai il coraggio di disegnare
C’è una serie di disegni in sospeso da tempo su storie di migranti.
Un esercizio che usi per fare bu! al foglio bianco
Faccio tutto tranne che guardare i lavori di altrə. Di solito fare le faccende di casa mi aliena così tanto che alla fine l’idea arriva!
3 libri che ti hanno cambiato la vita
Come lettrice Staccando l’ombra da terra del mio amato Daniele Del Giudice perché mi ha fatto scoprire un nuovo linguaggio; come persona L’archivio dei bambini perduti di Valeria Luiselli perché sapevo molto poco delle storie delle migrazioni tra Messico e USA; come illustratrice, insegnante e qualsiasi lavoro che mi capiterà di fare, il libro imprescindibile è, e sarà sempre, Da cosa nasce cosa di Bruno Munari.
3 illustratrici/illustratori che dobbiamo seguire
Brandon Campbell con i suoi reel ipnotici, Kate Bingaman-Burt che è una esplosione di colori e creatività, Sara Boccaccini Meadows perché ha un modo incredibile di disegnare la natura.
Una cosa che desideri fare ma che non hai ancora detto ad alta voce
Mi piacerebbe curare la grafica e le illustrazioni di una collana di letteratura.
C’è una domanda che non ti ho fatto e che invece vorresti tantissimo che ti facessi?
Cosa ti fa capire di aver fatto una buona illustrazione? Di solito lascio un disegno in sospeso per qualche ora. Poi riapro il pc e se sorrido allora vuol dire che ho fatto un buon lavoro.
Chi ti piacerebbe vedere intervistatǝ dopo di te? E cosa gli/le chiederesti?
Ce ne sarebbero un milione da intervistare e a tutti chiederei quanto riescono a riconoscersi nel proprio stile e se provano paura a staccarsene per sperimentare altro.
Arrivano gli alieni sulla Terra: la prima cosa che dici è…
Cose dell’altro mondo!