Dopo anni passati a sbavare su meravigliose illustrazioni e a scrollare i feed di illustratrici, e – non offendetevi, amici maschi – qualche illustratore, ho deciso di salvare il mondo dalla bruttezza con Illustrami, la nuova rubrica sotto forma di intervista dove faremo conoscenza con alcune di queste figure mitologiche, scoprendone segreti e manie, curiosità varie e la visione del mondo, illustrato e non.
Illustrami è un’idea nata più di un anno fa e nascosta fino a ora tra le righe di un quaderno, insieme a scarabocchi e a parole illeggibili.
Si trattava perlopiù di una lunga lista di nomi di illustratrici, scoperte su Instagram di cui mi ero (e sono) innamorata. Lista che nel frattempo si è notevolmente allungata. Finalmente sono riuscita a darle una forma e a liberarla dalle pagine di quel quaderno per farvela conoscere, insieme a tanti nomi meravigliosi, di cui spero vi innamorerete.
Il primo nome, e sono molto felice che sia il suo a inaugurare questo spazio, è la madre di tutti i Lamentini, la donna che sa dirti quale gallina sei: Roberta Ragona aka Tostoini.
Nata a Cagliari, ha una formazione da antropologa e un amore smisurato per le creature marine. Illustra, insegna, fa graphic recording, scribing e sketch-noting per eventi e workshop, scrive per Print Lovers e ha una sua newsletter. Come dicevo, una figura mitologica.
Amo moltissimo lo stile di Roberta e il suo immaginario, ma anche il suo modo di stare al mondo. Abbiamo diverse cose in comune e la maggior parte hanno a che fare con la nostra isola madre: solitamente le nostre conversazioni sono sulla Tirrenia, i cibi sardi e le galline, ovviamente. Questa invece sarà un po’ diversa: si parte!
Da quanti anni sei Tostoini e perché?
In termini di internet – che sono come gli anni dei cani – si potrebbe dire che sono vecchia come le piramidi: sono Tostoini dal 2004, e sono Tostoini perché il nome “testuggine” su Splinder era già preso. A posteriori direi che è stato un felice accidente perché di Tostoini ci sono praticamente solo io (e una storica pizzeria di Castiadas) mentre di testuggini è pieno il mondo.
Dall’antropologia all’illustrazione: come è potuto succedere?
In realtà è successo tutto al contrario e in maniera tortuosa come i fiumi. Volevo studiare illustrazione sin dall’inizio, ma nel momento in cui mi sono trovata a scegliere quella non era un’opzione praticabile, per diverse ragioni. Per cui mi sono guardata intorno e ho cercato qualcosa che mi sembrasse altrettanto attraente, e ho trovato l’antropologia: capire perché facciamo quello che facciamo nel modo in cui lo facciamo mi è sembrata una questione interessantissima.
Quale lavoro, progetto ti ha fatto dire “ok, sono un’illustratrice”?
Ma sai che non lo so? Ho sempre la sensazione che a un certo punto arriverà qualcuno che con indice puntato e gesto plastico mi accuserà di spacciarmi per illustratrice essendo in realtà solo una generica scappata de casa un po’ frolla. Se dovessi scegliere un momento, più che un progetto, è quando abbiamo cambiato casa e ho iniziato a inscatolare le cose su cui avevo lavorato. Quello che nella quotidianità è saltare facendo il tetris da una deadline all’altra visto tutto assieme aveva proprio la forma di un lavoro, e pure uno bello.
Che effetto ti fa guardare i vecchi lavori?
Un intenso mescolone di gratitudine verso l’esterno e imbarazzo verso l’interno, in cui però ha la meglio la gratitudine. Il fatto che qualcuno mi abbia sostenuto, incoraggiato, aiutato ad andare nella direzione giusta anche negli anni in cui oggettivamente non sapevo tenere una matita in mano manco per salvarmi la vita mi sembra una cosa incredibilmente bella e niente affatto scontata.
Se potessi tornare indietro nel tempo che consiglio ti daresti?
Vai in terapia, che ti aspettano un mucchio di sorprese divertenti.
Solitamente dove disegni? Riti, abitudini, posizioni, soundtrack?
Tendenzialmente inizio a lavorare alla scrivania dello studio, poi inizio a vagare per casa cambiando posto in base alla concentrazione (o mancanza di) e al momento della giornata, spesso finendo per monopolizzare il divano in compagnia dei culicchi (i miei gatti, ndr). Tendenzialmente lavoro in posizioni sconsigliabili per la postura, per cui forse alla domanda di prima avrei dovuto rispondere “iscriviti subito in piscina”. Comunque a casa: fuori mi vengono le idee, ma per metterle in pratica ho bisogno di tornare tra le mura domestiche.
Se sto scrivendo o sono in una fase del disegno che ha bisogno di pensiero preferisco il silenzio o la musica strumentale, ma quando arrivano le parti di colore, ombre e tutte quelle cose che le mani possono fare da sole ho una nutrita collezione di podcast su animali bizzarri, civiltà estinte, aneddoti curiosi e fatti peculiari da cui estrarre aneddoti da aperitivo.
Cosa ti ispira?
Oddio, milioni di cose. La verità è che è difficile che io mi annoi, tutt’al più perdo la pazienza.
Le tue tecniche preferite
Decisamente il digitale. Quello che non sono riuscita mai a fare con gli sketchbook mi viene naturale con Procreate, dove convivono cartelle di gif stupidissime e tentativi disperati di provare stili pittorici, decine e decine di livelli in cui cerco di ricordarmi come si disegnano le mani e un numero infinito di ritratti di culicchi in posizioni improbabili. Non sono una disegnatrice elegante, penso facendo e sono incredibilmente pigra. Sono disposta a lavorare duramente per trovare il modo più pigro di fare qualcosa. Per quello che riguarda le tecniche analogiche, sono per un’inelegante tecnica mista inchiostro, acrilici e uniposca.
Una cosa che vorresti disegnare ma che non hai il coraggio di disegnare.
In realtà è una cosa che starei già disegnando. È un progetto di albo illustrato non-fiction su cui vado avanti da un paio d’anni, ma ci tengo così tanto, è così personale nell’approccio e nel tema – mette assieme cose che si mangiano e idee sull’al di là in varie parti del mondo – che ogni volta che arrivo a un punto in cui sta vagamente iniziando a prendere una forma finisco per mettere in discussione tutto e riiniziare praticamente da capo, rosa dal dubbio. Sto cercando di uscirne in qualche modo perché alla fine, voglio dire: se non si vergogna Bruno Vespa di far uscire un libro all’anno, perché io dovrei farmi tutti questi problemi?
Un esercizio che usi per fare bu! al foglio bianco
Esco di casa e cammino, possibilmente dove ci sia dell’acqua e poche persone. Poi disegno le cose più stupide che mi vengono in mente: gatti liquidi, vermi coi cappelli, autoritratti in pigiama. Più è stupido, più è difficile fermarsi.
3 libri che ti hanno cambiato la vita
Che malevolenza solo tre. Allora direi:
Jon Klassen, The Hat Box. È un cofanetto che raccoglie le tre storie di cappelli di Klassen: I Want My Hat Back, This Is Not My Hat, We Found a Hat (tutte e tre le storie si trovano anche singolarmente edite in italiano da Zoolibri).
La magia di Klassen sta nel raccontare con il minimo indispensabile: personaggi e ambientazioni stilizzati in maniera minimalista ma estremamente espressiva, un umorismo deadpan asciuttissimo, un senso del ritmo eccezionale. Le sue storie funzionano sia con gli adulti appassionati di dark humour che con i bambini, per cui il momento di realizzazione del colpo di scena finale del racconto è come l’accensione di una lampadina.
Le Visionarie, antologia a cura di Ann & Jeff VanderMeer
Ho cominciato barando col cofanetto, quindi non vedo perché non continuare con un’antologia. Le Visionarie è un’antologia di speculative fiction che spazia da nomi come Ursula K. Le Guin, Octavia E. Butler, Joanna Russ e Angela Carter sino ad autrici contemporanee come Nnedi Okorafor passando per una pletora di scrittrici fuori dall’area anglosassone con cui è più facile avere familiarità. Io la amo moltissimo (oltre perché l’edizione Not è veramente un oggetto di design del libro pensato per bene e di molta soddisfazione) perché è un libro frattale, che apre a percorsi di lettura che sai dove partono e non hai davvero idea di dove potrebbero arrivare, romanzi della cui esistenza non avevi idea, autrici alla cui opera omnia appassionarsi, scoperte di ogni tipo. Tutta la raccolta gira intorno al tema dell’identità e della prospettiva sul genere, e ci arrivano dai punti di vista più diversi, a volte con ironia, a volte con assoluta serietà, a volte facendoti il cuore in coriandoli.
L’ultimo libro è una raccolta di saggi, Last Chance to See di Douglas Adams e Mark Carwardine, che in italiano è uscito per Strade Blu di Mondadori come L’ultima occasione. Visto come ho eluso il limite delle tre scelte con tutti i gli escamotage a disposizione?
Ad ogni modo, Last Chance to See per me è stato il libro che per primo mi ha mostrato un modo di raccontare la scienza e le cose del mondo che da lì in poi è quello che ho abbracciato con entusiasmo: cose serissime spiegate con leggerezza e stupidera, cose stupide esplorate in assoluta serietà. Contiene tantissimi animalini peculiari, alcuni con un destino più fortunato di altri, si ride, si piange come viti tagliate, spesso contemporaneamente.
Se poi ti distrai un attimo e perdi il conto ci metterei anche il ciclo delle streghe di Terry Pratchett in Discworld.
3 illustratrici/illustratori che dobbiamo seguire
No, guarda, questa cosa di 3 solo 3 è una tortura, te lo dico. Facciamo Claudi Plescia, Hikimi e Ilaria Faccioli, ma ritieniti guardata con severità.
Una cosa che desideri fare ma che non hai ancora detto ad alta voce
Diventare la vecchia eccentrica del paese, quella col giardino spettinato pieno di piante assurde in cui se ti affacci mi puoi vedere che chiacchiero affabilmente con l’asino, la capra, e le galline mentre mi levo la sabbia dopo essere tornata dal mare. Ma forse tu intendevi cose di illustrazione? Vorrei disegnare un enorme libro di ricette sarde, uno di quei coffee table book con le foto goduriose e le illustrazioni cicciute, con la copertina telata, di quelli che fai un figurone a regalare.
C’è una domanda che non ti ho fatto e che invece vorresti tantissimo che ti facessi?
Considerato che ho opinioni su tutto, direi che vado contenuta e non incoraggiata, semmai.
Chi ti piacerebbe vedere intervistatǝ dopo di te? E cosa gli/le chiederesti?
Claudia Flandoli, e le chiederei di spiegarmi la scienza coi disegnini, perché è una delle persone che ci riesce meglio.
Arrivano gli alieni sulla Terra: la prima cosa che dici è…
Sono sempre stata dalla vostra parte!
Un’ultima cosa: il gatto di Schrödinger è vivo o morto?*
Di sicuro è nella scatola e ci ignora finché non è ora di mangiare.
(* questa è la domanda con cui Roberta chiude le sue interviste a illustratorз su Hoppipolla)
Kit digital per seguire Tostoini:
Un coloratissimo sito
Il suo Instagram
E Twitter
Per diventare fedelissimз: Patreon
Per comprare amabili Lamentini e altre fantasticherie